La mia prima mezza maratona

Per arrivare a Passirano sono più di trecento chilometri, circa tre ore e mezzo di macchina senza fermarsi.
Una piccola sosta in autogrill per fare pipì, che in preparazione della corsa e visto il caldo stiamo assumendo quantità spropositate di liquidi e sali minerali.
E per darsi il cambio, uno guida e l’altro mangia, carboidrati tre-quattro ore prima della partenza.

Sono un po’ tesa, elettrizzata più che altro.
Sono certa che ci riuscirò, ma c’è sempre la possibilità di un imprevisto, e comunque, una vittoria, finché non la si vive non la si assapora.

Arriviamo al nostro B&B.
Mi sdraio un po’ sul letto, mezz’oretta di training autogeno e meditazione bislacca delle mie.
Sdraiata in un immenso campo verde, tra le radici ed il tronco di una quercia, insieme a questa grande pianta respiro e traggo forza dal terreno.
Inspiro energia, espiro stanchezza. Inspiro energia, espiro stanchezza.
Mi alzo rigenerata. Sono pronta.

A Camignone ci sono più di settecento persone. Tutti già pronti per la corsa, tutti con lo stesso obiettivo, che non è vincere ma semplicemente correre.
Qualcuno si riscalda e qualcun’altro, come me, allunga i muscoli prima della partenza.
Si respira un’aria di festa, non c’è competizione, ci si guarda negli occhi e si sorride con complicità.
Ed è anche questo il bello della corsa.

Ritiro della pettorina. Il chip sulla scarpa sinistra. Ultima bottiglia di Gatorade. Ultima pipì.
Ci allineiamo tutti dietro la linea di partenza.
Tre, due, uno.

Inizio con il mio solito dolore al piede sinistro. Dolore che era svanito da un pezzo e che proprio oggi doveva tornare.
Mi arrabbio un po’, ma non è questo il momento di arrabbiarsi. C’è spazio solo per le sensazioni positive. Le altre le espiro via, insieme alla stanchezza.
Trabucchi insegna, non è il dolore che ti ferma, se tu non vuoi.
Dopo pochissimo sono già affaticata, eppure non è così caldo.
Capirò solo dopo di essere partita troppo in fretta, sopra la mia solita andatura.
E dopo qualche chilometro, come sempre accade, ci si divide “fisiologicamente” in tre gruppi: quelli che corrono davvero, quelli allenati ma non atleti, quelli che ci provano e corrono misto a passeggio.
Io sono nel gruppo di mezzo.

Al terzo chilometro non sento nulla.
Ho rotto il fiato e il battito è regolare, l’aria – grazie al cielo – è bella fresca.
Per qualche minuto il cielo proverà anche a piovere, con delle gocce talmente piccole che mi chiedo se sono vere oppure le sto solo immaginando.
Mi diverto a pensare che tutti quanti, nello stesso momento, stiamo invocando un po’ di pioggia che ci allevi la fatica, e che renda il percorso meno duro.

Molti chiacchierano tra loro, soprattutto all’inizio. Io preferisco concentrarmi e decido di non sentirli.
Sull’asfalto il suono dei piedi che corrono è come quello delle gocce di pioggia estive. Quelle grosse all’inizio di un temporale, che fanno pof…pof…e ti sembra di sentirle tutte, una per una.
Ogni piede fa il suo suono, ogni paio è una storia a sé. Allenamenti e fatica, sudore, adrenalina, sacrifici. Gioia di essere qui adesso.

Ci immettiamo in una strada sterrata, che taglia a metà uno splendido vigneto, verde e ordinato, semplicemente bello.
La polvere si alza sotto i nostri passi, e le voci si chetano, per non ingoiare più polvere del dovuto.
Costeggiamo campi meravigliosi, ci rimettiamo in strada, qualche chilometro di pista ciclabile e poi di nuovo in mezzo a qualche campo appena concimato. Non puoi limitare il respiro, hai bisogno di tutta l’aria che i polmoni riescono ad avere, e il fatto che quell’aria puzzi così tanto mi fa morir dal ridere.

Al primo ristoro, dopo cinque chilometri, rallento malapena, e del mezzo bicchier d’acqua che afferro al volo riesco a berne giusto qualche goccia.
Quasi bruciato, accidenti.
Immagino la voce metallica del mio personal trainer che mi dice terminato un quarto, e mi sento bene, decisamente bene.
Penso a quando sarò a metà, e poi a tre quarti, e poi alla fine.
E ogni volta che penso alla fine mi sembra di emozionarmi già.
Ma l’emozione poi, è solo per essere arrivata a questo punto. Me la merito già.

Il paesaggio scorre lento. I campi di granturco mi accompagnano e mi tornano alla mente le parole di Pavese. Nulla mi deve quel campo, perché io possa far altro che tacere e lasciarlo entrare in me stesso.
E il campo, e gli steli secchi, a poco a poco mi fruscìano e mi si fermano nel cuore
.
Poche ore fa, in macchina, era così veloce il profilo delle foglie, si muoveva come una di quelle immagini cinematografiche primitive, pochi goffi fotogrammi a simulare il movimento.
E ora loro sono ferme e sono io a muovermi, e a simularlo questo movimento.
Rifletto per un poco su come la corsa non sia una, non sia un unico elemento ma la somma di tanti piccoli passi, uno dietro l’altro.
Quasi banale come riflessione, ma non sono così veloce da poter vedere la mia corsa come un flusso.
Ventuno chilometri sono ventunomila-e-qualcosa metri, che per una come me, con le gambe corte come le bugie, sono qualcosa di più di quarantamila passi.
Se devi correre da sola per più di due ore a qualcosa dovrai pur pensare, no?
Spesso conto – e anche Marco lo fa – ma io inizio e poi mi perdo, sbaglio i conti e rido.

Sento dietro di me qualcuno che mi si avvicina, e mi sposto sulla destra per non ostacolarlo.
Tranquilla mi dice, è un’ora che ci sorpassiamo come un elastico.
Gli chiedo il tempo. Cinquantasei minuti, nove chilometri, ritmo sei e dieci.
Bene, non male.

Ad uno spugnaggio c’è una bambina di circa dieci anni, col vestito bello della domenica. Un vestito blu che penso la mamma le abbia scelto appositamente per l’occasione.
In una grande bacinella di plastica azzurra, una pompa da cui sgorga dell’acqua e decine e decine di spugne che galleggiano.
Frescaaaa, acqua frescaaaa!!!
Ha il sorriso delle grandi occasioni, quel sorriso che i bambini tiran fuori quando si emozionano. Fiera, con quelle spugne gocciolanti in mano e i denti grandi davanti, come sono grandi a quell’età, appena cresciuti.
Le dico grazie con poco fiato ma ho nel cuore una gratitudine infinita, per quella voce cristallina che mi dà energia tanto come l’acqua fredda che mi tampono su tempie e polsi.
Penso alla Marti, a casa, che non sa nulla di questa mia impresa, ma che sarebbe entusiasta come lei nel dispensare acqua fresca a queste persone.

Continuiamo ad andare, non si passa mai nello stesso posto ma si incontrano scorci sempre nuovi.
Scendendo uno sterrato ci ritroviamo sulla destra un campo giallo come oro, con le balle di fieno rotonde, appena fatte.
Su alcuni tratti c’è una luce surreale, quasi fluorescente.
Giro gli occhi a sinistra e vedo dietro un casolare che il sole sta scendendo, e che su quel campo c’è il colore del tramonto.
Cerco Marco con lo sguardo, più avanti, perché so che lui ama queste immagini. Sono certa che l’ha amata tanto quanto me, e questo fa sì che stiamo correndo insieme, anche se ognuno nella sua solitudine.
Abbasso le palpebre. Click. Questa foto la porterò con me per sempre.

Di nuovo in strada, in un centro abitato, c’è un signore seduto in giardino che ci grida nel suo dialetto bresciano che dobbiamo correre , mica fare finta.
E poco più in là tre bambine mulatte ci guardano con gli occhi sgranati, mentre una signora dice
è così che fanno alle olimpiadi.
Ecco qual è la mia gloria, solo questa. Sentire queste voci e vivere queste sensazioni, non ho bisogno di nulla di più perché il mio sogno possa dirsi realizzato.

A un certo punto le gambe sembrano cedere. Non smetto di correre ma mi sembra che tremino e diventino instabili. Per la prima volta penso che potrei anche non finire questa corsa e inizio a chiedermi come riuscirei a tornare indietro se dovessi ritirarmi.
Ancora una volta non c’è posto per i pensieri negativi.
Jodorowsky insegna: immagina di correre in un universo tutto nero, senza confini e senza direzioni, senza strade, verso il basso, verso l’alto, in obliquo e lateralmente, abbatti i tuoi confini.
Incomincia un’altra salita, accorcio ulteriormente i miei passi.
Mi si avvicina un signore, in bici, e mi dice
questa dura due chilometri, prendila con calma.
Penso che a quel punto potrebbe crollarmi il mondo addosso ma no, ormai il movimento è talmente automatico che sarebbe più difficile fermarsi.
Passiamo dentro a un piccolo paesino, in mezzo alle case, con gli anziani che ci guardano sbigottiti e una signora che con la mano ci fa un gesto come per dire dura eh?
ma con la voce non dice nulla, quasi per rispetto.
Un’altra invece, accompagnata al braccio per la sua vecchiaia, ci ripete
chi la dura la vince, chi la dura la vince
forse poco lucida, ma in effetti ha ragione.

Nel frattempo ho preso lo stesso ritmo di un padre che sta correndo la sua ventun chilometri insieme a sua figlia, spingendo una specie di passeggino a tre ruote dova questa bimba di due anni se ne sta seduta comoda ad osservare il paesaggio col ciuccio in bocca. Non dice nulla, guarda dritto avanti a sé, ma nelle discese ride divertita.
Quest’uomo sta sudando come un pazzo e riesce pure a dirle
ci siamo amore, siamo a metà e ormai è fatta.
Mi guarda e mi ripete ormai è fatta, piuttosto arriviamo sui ginocchi.
E corre più veloce di me.

Quando inizio a sentire la musica del ristoro ingoio la seconda metà di gel che custodisco gelosamente nel taschino interno dei calzoncini.
Confido in quelle vitamine come se fossero un elisir magico, prendo un bicchiere d’acqua e butto giù. Pochi metri più in là, i sali.
Chissà se la musica serve ad avvisare gli atleti che il ristoro è vicino o se serve a caricarli. Probabilmente entrambe le cose.
Certo è che questa canzone è davvero azzeccata, e allora mi metto anche a cantare, con le labbra senza voce, ma canto la mia canzone che è qui a dirmi che manca poco e che ce l’ho quasi fatta.

Se fino adesso avevo pensato di scattare gli ultimi sei chilometri, mi rendo conto che non è possibile, non posso farcela.
La finirò ormai è certo, ma non posso permettermi nessuno sprint finale.
Sarei un’incosciente.

Le persone attorno a me, quelli che sono in squadra, iniziano a farsi forza l’un l’altro, mentre inizia l’ultima maledetta salita prima dell’arrivo.
Le forze mi stanno quasi abbandonando, quando un ragazzo dietro di me dice alla sua compagna
guarda la chiesa, è vicina, è lì che dobbiamo arrivare.
I campi da una parte, le montagne sullo sfondo, verdi ricoperte di boschi. Il sole è quasi sceso tutto, il cielo è solo bruciacchiato e là, poco distante, c’è un campanile che ha la stessa luce di un faro.
Nell’ultimo chilometro è pieno di persone che acclamano gli amici, i fidanzati, famiglie che festeggiano l’arrivo dei figli.
Penso che mi piacerebbe avere qualcuno che mi aspetta, ma in fondo preferisco questa solitudine, questo traguardo che è solo mio, sudato e patteggiato con me stessa,

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fino alla fine delle forze.

Imbocco l’ultimo tratto prima di rientrare nel paese, con un signore che nel mezzo della strada legge i nostri numeri e li urla perché vengano annotati.
Il timer all’arrivo dice due ore e diciassette minuti.
Ed eccolo qua, questo traguardo.
Che cos’è mai? Una riga bianca sull’asfalto.
Una riga bianca sull’asfalto e quel sapore che è sempre stato lì, nella gola, ogni volta che pensavo alla vittoria.
Non è nuovo in effetti, ma ora finalmente posso deglutirlo, insieme alla fatica, al sudore, e alle lacrime della mia stessa commozione.




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19 Comments

  1. Bellissimo, complimenti. Anche per aver trasmesso con questo post tante delle emozioni che si provano sulla strada.

  2. Bellisimo Sary !!!!!!KM

  3. Complimenti Sara,
    sei riuscita a catturare l’attenzione di una che con l’attività fisica ha litigato da tempo!
    I complimenti sono doppi: per la mezza maratona e per il tuo modo coinvolgente di descrivere le sensazioni provate!
    Brava!

  4. Sara! Mi hai reso fiera come se l’avessi corsa io quella mezza maratona. Non so che dire, ho pianto per la bellezza delle immagini che ci hai regalato, anche e soprattutto le immagini che vengono dal paesaggio dentro di te. Che e’ un gran bel posto.

  5. Sempre mi fai commuovere, con questo post ancora più del solito.
    E che posso dire? Solo che, per me, è uno dei post più belli che tu abbia mai scritto e uno dei più belli che io abbia mai letto in generale.

  6. Grazie ragazze.
    Ammazza…voi vi commuovete per quello che scrivo, io mi commuovo per quello che commentate.
    E’ un circolo del pianto qua 🙂
    Grazie grazie grazie!
    Di cuore grazie.

  7. Complimenti Sara, per l’impresa e per il post. E’ sempre un piacere leggerti.

  8. Grandissima.
    Scrittrice e maratoneta.
    È sempre bello leggerti e dopo questo post quasi quasi vado a correre un po’.
    Ah, no, son 40 gradi.. però la voglia me l’hai passata davvero!

    • Grazie cara.
      Mezza scrittrice e mezza maratoneta…un passo per volta 🙂
      Sono felice tu sia passata a leggermi.
      Se vuoi iniziare a correre ho due consigli:
      1. fai attenzione che poi diventa una droga
      2. magari inizia a Settembre, ora sarebbe un suicidio (anche io mi fermo un paio di mesi)!
      🙂

  9. Bravissima! sei molto brava a scrivere e ti leggo sempre volentieri

  10. Bravissima!!!!
    Spero a brevo di poter scrivere un post come il tuo…

    Complimenti per tutto!!!!
    Giovanni

  11. Racconto carico di emozioni. Una lettura fantastica.
    Non sono ancora allenato adeguatamente ma, dopo ‘L’arte di correre’ di Murakami Haruki, è il secondo scritto che mi insinua, con forza, l’idea di correre una mezza maratona.

    • Ciao Luca,
      anche io ho letto “L’arte di correre” ormai molti anni fa.
      L’approccio di Murakami è molto più spinto del mio. Io credo che ognuno debba guardarsi dentro e capire quali obiettivi porsi.
      Io sono partita da qui, e chissà dove arriverò – non solo nella corsa -.
      Ti auguro di scoprire i tuoi e di raggiungerli.

  12. Ciao Sara
    ho letto il tuo posto per caso; bello ed emozionante.
    Io ho fatto la mia prima mezza maratona ieri; esperienza stupenda, 1 ora e 55 … tempo che, per come la vedo io, è passato fin troppo velocemente.
    Il paessaggio, il respiro e la fatica sono cose che ti entrano dentro e inevitabilmente ti cambiano.
    Non è difficile correrre, difficile e smettere di farlo.
    Complimenti, per come scrivi e per come corri.
    Ciao.
    Floriano

    • Ciao Floriano,
      grazie infinite per essere passato di qua e aver lasciato un tuo pensiero.
      Complimenti per il tuo traguardo…il mio augurio è che ce ne siano altri sempre. Altrettanto grandi ed altrettanto intensi.
      Nella corsa e non : )

  13. Complimenti per il traguardo, Sara! Deve essere stata una grande soddisfazione 🙂

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