Vietnam. Mui Ne e, finalmente, il mare

Sveglia alle 6:15 – che dopo la notte di capodanno non è il massimo – prepariamo le valige, raccogliamo tutto e facciamo colazione in tutta fretta.
Arriviamo in anticipo all’agenzia di viaggi da cui partirà il bus. Le strade sono più tranquille, il primo giorno dell’anno si festeggia a casa con i propri cari. L’unione con la propria famiglia è un valore ancora molto forte qui.

Ci sono due donne in strada, con il loro baracchino a vendere panini. Un po’ i nostri piadinari penso, mentre una pagnotta di pane cade per terra e viene raccolta come se nulla fosse.
Per le strade qui, si gettano rifiuti, scarti di carne e pesce che vengono cucinati in strada, ci sono uova rotte e la pipì dei bambini che spesso si abbassano i pantaloni – o si alzano la gonna – e la fanno vicino agli alberi o nello scolo della fogna. Penso a come tutto sia diverso rispetto al mio paese e mi chiedo se siamo noi o se sono loro ad eccedere, nella troppa pulizia o nella sua totale assenza, ma poi in fondo non necessariamente qualcuno sbaglia.

Autogrill vietnamita sulla strada per Mui Ne

Dopo un paio d’ore di strada ci fermiamo in una sorta di autogrill. Un negozio dove ci sono anche alcuni prodotti internazionali tipo Pringles o Ritz, un banco di frutta che vende mandarini, bananine – le banane qui, sono piccolissime -, mango e un altro frutto che ancora non ho capito cosa sia.
Prendiamo qualche banana e un mango, che mi viene sbucciato e tagliato a pezzi. Apprezzo molto il pensiero del ragazzino che sceglie il frutto più maturo e indossa un guanto per sbucciarlo. Mi viene da sorridere, il coltello è sudicio e la scodella dove taglia i pezzi, prima di versarli in una busta di plastica, probabilmente ne ha viste di tutti i colori.
Prego che il Dukoral – vaccino contro il colera e la cosiddetta “diarrea del viaggiatore” (si chiama proprio così) – faccia il proprio dovere, nonostante sia la mia scatola che quella di Marco siano state fuori dal frigo per quasi un giorno intero.
Il sapore del mango è favoloso, dolcissimo, succulento, dal colore vivace e dalla consistenza morbida.

Ripartiamo e i due autisti si danno il cambio, quello che aveva guidato per primo tira fuori un’amaca e la lega tra il bracciolo del mio sedile – siamo seduti nei primi due posti – e lo sportello dell’autobus. Sgranocchia un dolcetto pescato da una busta dove ci sono mandarini e bucce di mandarini, dolcetti e cartacce di dolcetti, poi, si mette a dormire.
Da quando siamo arrivati in Vietnamo non abbiamo ancora visto una strada senza buche, in certi punti l’autobus saltella come quei palloni di gomma con cui saltano i bambini, i passeggeri si tengono sul poggiatesta del sedile davanti e lui saltella come un piccolo canguro – e come il grosso grasso sorcio di ieri sera.

Dinasty Resort Mui NeMui Ne
è una città di mare, ma chiamarla città forse è troppo. Un mucchio di ristoranti e localini buttati lì su un’unica strada dritta che costeggia la spiaggia.
Un mare mosso e agitato, com’è giusto che sia, visto che il vento qui la fa da padrone.
Tante scuole di kitesurf, un paradiso. Ma appena arrivati siamo così stanchi che dopo cinque minuti siamo in costume in spiaggia, a bordo piscina, e dopo altri cinque minuti siamo già addormentati.

Mui Ne è quello che ti serve per rifocillarti dopo quattro giorni ad Ho Chi Minh: calda e assolata di giorno, tranquilla e fresca di sera, ma ha un unico, grande, grandissimo, problema. I geki.

Ora non vorrei che pensaste di me che sono una schifignosa piagnucolosa – l’altra sera ho mangiato anche quella che presumibilmente poteva essere una rana – ma il geko, come animale, mi fa davvero schifo.
Sono cresciuta in campagna giocando scalza sul prato, un prato dove c’erano tante e tantissime lucertole. Le lucertole – e i ramarri pure –  sono state presenti nella mia vita più della Gigia – il mio gatto – ma loro almeno sono verdi, proprio del colore di cui dovrebbe essere una lucertola.
Il geko invece è albino e un po’ schiacciato e sta sui muri, mentre invece dovrebbe stare in terra o al massimo su qualche muretto – ma sempre in orizzontale, come Dio comanda.
Ma visto che qui in Vietnam mangiano le lucertole, non potrebbero mangiarsi pure i geki? Potrebbero fare mambassa qui a Mui Ne e così se li – me li – toglierebbero dai piedi.

Mui Ne sunsetSul lungomare ci sono tantissimi posti dove fermarsi a mangiare, lato mare tavolini, sedie, banco del pesce e griglie per cuocerlo. Talvolta lato monte c’è uno stabilimento adibito a cucina, una specie di capannone annerito dai fumi della brace.
Ci sono anche vasche d’acqua salmastra – per non dire opacizzata dalla miriade di organismi viventi che la popolano endemicamente – che rimangono vuote fino al tramonto. Poi, quando i pescatori rientrano dalla loro giornata di lavoro, si riempiono di grossi granchi succosi, pescioni grandi da non stare in padella, vongole, ostriche, capesante e persino un piccolo squaletto.
I pesci vengono puliti e cotti sul momento, in cucine di strada tanto poco igieniche quanto d’altro canto abili ed efficienti.

Mui Ne non è niente di speciale per il momento, ma è quello che ci serve. Dobbiamo mettere la felpa perchè il vento che tira è fresco e potente. Il mare non si placa neanche per un momento e devo dire che, anche se ci eravmo affezionati ad Ho Chi Minh, questo sottofondo davvero non è niente male.




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4 Comments

  1. Sara, i gechi, non sono gli stessi della puglia? Un saluto

  2. Giorgio e Rita |

    abbiamo letto anche questa sera il vostro appunto di viaggio, ci è sembrato di essere là anche noi.Ci è piaciuto tutto ( quasi) specialmente la parte sul mare. Aspettiamo di rileggervi domani. Buona notte. Un abbraccio. Ri. Gio.

  3. Quanto avete pagato il trasferimento da Ho Chi Minh a Mui Ne?

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