Leonardo
Aspettarla in quel bar anonimo di Roma era la cosa più naturale del mondo.
Come se fosse la sua ragazza di sempre, la sua compagna di vita e quel bar fosse il loro ritrovo da anni.
Continuava a mangiarsi le unghie, ma più per noia che per inquietudine. Era perfettamente a suo agio.
Novembre era il mese più bello per incontrarsi, quando i colori di Villa Borghese si scaldavano prima di lasciare spazio all’inverno.
E quell’inverno avrebbe pure nevicato, a Roma.
Non voleva fissare fuori dal vetro, avrebbe preferito vederla alzando lo sguardo, quando la porta, aprendosi, avrebbe scosso il campanello.
Ma le riviste di auto sulla mensola non riusciva a leggerle, neppure sforzandosi, e il listino prezzi appiccicato alla vetrina l’aveva imparato ormai a memoria.
Fissava un piccione appena fuori dall’ingresso, sotto gli archi dei portici, quando arrivò un po’ di corsa, affannata dal passo sostenuto e da un’evidente emozione. Anche se si conoscevano da anni.
Si abbracciarono stretti, si respirarono l’un l’altra e lei si stupì, come succedeva ogni volta, di quanto fosse alto.
Se lo ricordava sì, ma non se lo ricordava mai abbastanza ed era sempre una sorpresa, come la prima volta.
Uscirono insieme chiacchierando, avvicinandosi l’uno all’altra con le tipiche banalità del caso. Si dimenticarono di salutare al bar, non tanto per mancanza di educazione, quanto più per una reale impossibilità.
S’incamminarono sul viale. Il respiro affannato lei, le mani tra i capelli lui. Un imbarazzo quasi infantile, seppur entrambi sulla soglia dei trenta.
Eppure, era la cosa più naturale del mondo. Come se stessero insieme da sempre.