Capo Verde, Isola di Sal. Fuori dal giardino

Dopo lunedì passato a dissetare ogni cellula nutrendola di sole e salsedine, siamo partiti di martedì alla scoperta dell’isola, per quell’insaziabile desiderio di esplorazione che generalmente caratterizza bambini e pionieri.
Loro che non si accontentano di osservare il giardino davanti casa, non temono di voltare l’angolo senza sapere cosa troveranno, o di assaggiare qualcosa di nuovo senza sapere il sapore che avrà.

Noleggiamo due mountain bike e partiamo senza avere bene in mente dove andremo.
Senza gamba e senza scorte d’acqua, con l’incoscienza dei principianti e la sfrontatezza degli avventati.
Santa Maria termina con un faro che guarda al largo dell’Oceano Atlantico, a sud, e con la scuola media del paese, a nord, forse l’unica dell’intera isola.
Un edificio bianco e rosso, parallelepipedo alto e mediamente scrostato, nel cui cortile senza erba scorazzano ragazzini dagli sguardi curiosi.
Lasciandoci l’edificio alle spalle ci troviamo immediatamente in mezzo al deserto.
Ai lati della strada una distesa rossa di terra e sassi, qualche cespuglio secco, macchie di colore dell’immondizia abbandonata senza pudore, che rende ovunque il mondo paese.

Pedalare a Sal è una sfida persa in partenza: anche con la marcia più bassa ogni affondo è duro e combattuto.
Si è sempre fermi lì, mentre i muscoli bruciano e non capisci perché non ti stai spostando come vorrebbero le leggi della fisica.
Ma il vento non è solo spostamento, percepibile come forza fisica al tatto e influenza nell’equilibrio.
Ti avvolge nella suo soffio senza fine, senza inizio, e senza direzione, isolandoti dal resto anche nei suoni, da qualsiasi voce o rumore attorno.
Lo spettacolo diventa quindi muto poiché ogni parola cade, altrimenti sprecata, e conservata nel tentativo di risparmiare energie, godere del privilegio non degli spettatori ma degli attori.
L’essere nel qui ora.

Una lunga salita si presenta dopo pochi chilometri – o forse chi lo sa, sono soltanto metri – come una ironica provocazione.
Avvolti nel nostro silenzio e nella nostra fatica risaliamo questo tratto sorpassati da alcuni taxi, dai pulmini noleggiati dai turisti e da quelli adibiti al trasporto pubblico.
L’unica differenza tra gli uni e gli altri, i primi pieni di facce bianche, i secondi pieni di facce di colore.
Qualche fuoristrada ricoperto di sabbia taglia aggressivo l’aria e l’asfalto.
Alcuni con i cassoni pieni di surf e vele racchiuse nei loro bozzoli, alcuni coi cassoni pieni di gente.
Panchine attaccate con chissà cosa e facce serie con gli occhi che ci scrutano.

Mi chiedo cos’abbia questa gente tra i capelli perché non si muovano mai.
Ricci corti, ricci lunghi, ricci in trecce o ricci sciolti sono sempre lì fermi e imperturbabili, come i loro occhi.
Chissà, se cresci su di un’isola come Sal, se il vento non lo odi mai.
Se un giorno dovesse per caso darti tregua ne sentiresti la mancanza, come un incoerente mal di terra.
Come questi alberi stesi, inginocchiati come vecchie devote, chissà se finirebbero per crescere diritti o se ne starebbero così, come un segno distintivo della loro provenienza.

Dopo aver pedalato per più di un’ora – e aver percorso non più di dieci chilometri  – abbandoniamo l’idea di raggiungere Espargos, non particolarmente lontano da Santa Maria ma praticamente irraggiungibile a causa del vento, che ci costringe a un imbarazzante passo d’uomo.
Essendoci una sola strada e quattro sole città su tutta l’isola di Sal, imbocchiamo la prima via traversa in terra battuta che si apre con il cartello Caletinha.
Appena svoltato sulla sinistra e dopo aver imboccato uno sterrato che per qualche metro torna indietro, verso sud. Ci ritroviamo tra vecchi silos arrugginiti, enormi macchinari e prefabbricati dall’aspetto abbandonato.
Nessun essere umano nei paraggi, e questo insolito bosco di rottami ci divide dalla strada principale appena abbandonata.
Seguiamo un percorso appena accennato, che a volte si perde tra la sabbia e ci costringe a scendere dai sellini per spingere la bicicletta e riportarla sul sentiero.
Sassi e sabbia. Sassi, sabbia e vento.

caletinha capo verde sal

Arriviamo ad una caletta fatta di scogli e rocce affilate, colori più scuro del consueto nelle pietre e nell’acqua, non per questo meno limpida e suadente.
Dopo qualche minuto ad osservare questa nuova piccola baia decidiamo di muoverci subito e fare ritorno.
Ancora vento, ancora sassi, ancora sabbia.
Scendiamo nuovamente dalla bici per riportarla dove sia possibile pedalare senza sprofondare nella sabbia.
Tra qualche raro cespuglio secco che ci graffia gli stinchi arrossati dal sole.
Quando siamo nuovamente davanti al complesso abbandonato, sentiamo dei movimenti che ci spaventano un po’.
Arriva di corsa, da dietro, un randagio decrepito che nonostante sia in fin di vita non manca di energia per mostrarci i denti e avvicinarsi ai nostri polpacci.
Mentre barcollo per lo spavento, inciampando con le ruote sui sassi della strada, mi preparo a mollargli un calcio sul muso idrofobo.
Ci salva un senegalese materializzandosi tra la ruggine e la ferraglia dei silos.
Si muove lento e senza alcun sentimento di urgenza. Non dice una parola, non fischia al cane, non gli urla.
Si abbassa piano e raccoglie i sassi più piccoli.
Ne prende due, o tre, con calma, e li tira al cane che forse intimorito forse per il fiato corto, ci lascia perdere e se ne torna tra la polvere e la sabbia.

Decidiamo senza dirlo di rientrare verso casa, che per oggi l’avventura è terminata, e se anche non siamo andati troppo lontano, è decisamente durata quel che basta.
Al ritorno il vento è favorevole. Una rivincita scontata, perché la strada si percorre da due versi e il vento, a Sal, è sempre Grecale.

Ci fermiamo alla chiesetta di Nossa Senhora de Fatima per riposare le gambe, bere l’ultimo goccio d’acqua calda rimasto, e ammirare un paesaggio arido e non ancora familiare.

Quanto importa, in un viaggio, incontrare paesaggi lussureggianti e sentirsi dentro un quadro?
È questo lo scopo di un viaggio?
Io sono felice, il mio viaggio è già compiuto. Ha toccato il già il mio fine: spostarmi anche solo di un passo dal giardino davanti casa.




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