Umbria: visita alle cantine, pranzo di porcini e cena di tartufo (sembra la ricetta per una pozione magica…e infatti lo è!)
Al mattino ci svegliamo con la luce che entra dai vetri.
Una luce bianca e silenziosa che entra dalla finestrella in alto…tanto in alto che non siamo arrivati a chiuderla.
Ci prepariamo con tutta calma e ci mettiamo alla ricerca della sala delle colazioni.
Elena ieri ci ha e la detto il nome ma non abbiamo ben capito, ma il centro di Bevagna è talmente piccolo che non faticheremo a trovarla.
Ci immettiamo in Corso Matteotti e incontriamo un’edicola, chiusa e vuota, e dei tavolini verdi ammassati sulla strada, ancora chiusi.
L’insegna dice La bottega di Assù.
Ci affacciamo, e già sullo scalino si percepisce il grande salto che si farà varcando la soglia.
Un locale piccolissimo con tre soli tavolini. Librerie alle pareti alte fino al soffitto, piene di bottiglie di vini prelibati e libri, mescolati come in una credenza domestica, con il disordine della quotidianità.
Librerie che racchiudono i più svariati oggetti, appesi su come scimmiette aggrappate al loro amato albero: collane etniche in legno, collane di peperoncino, ceramiche raku, borsette di paglia, guide enogastronomiche, brocche in porcellana e foto.
Tante foto, di vita quotidiana, di carnevali e momenti intimi, in bianco e nero. Foto ricoperte di quella delicatezza che una vecchia fotografia e un momento rubato possono regalare all’osservatore attento.
Foto e locandine, De André, Alda Merini, Virginia Woolf, Pablo Neruda, Paolo Conte. Lo stesso Paolo Conte che sta cantando ora, la cui voce calda riempie la piccola stanza fino al soffitto.
E poi ancora foto tessere e scatti di caffè con gli amici, in questa stessa identica bottega, solo coi colori di venti, trent’anni fa.
Elena ci accoglie da dietro il banco. Un banco in marmo, sormontato di libri, bottiglie di olio e statuette, con una vetrina che custodisce servizi di ceramica simpatici e sbeccati. Servizi che sembrano appena usciti dal salotto del Cappellaio Matto, quello di Alice nel paese delle meraviglie.
Ci accoglie solare e sorridente, con il più bel buongiorno che si possa offrire a due ospiti innamorati e incantati da tutta questa ispirazione.
Ci sediamo al tavolino dell’angolo, quello vicino al vetro che dà sul corso, dove ci sono bottiglie trasparenti, riempite di acqua, o grappa, tutte in fila come vigili soldatini.
Ci porta un piatto con torta e crostata fatta in casa, cappuccino per Marco e caffè americano per me.
Così ci mettiamo a chiacchierare e a guardarci attorno per riempirci gli occhi di tutte queste cose.
Temporeggiamo e attendiamo che tutti vadano via per rimanere soli e fare un po’ di foto.
Facciamo due chiacchiere con Elena, che quando scopre che siamo qui perché Marco mi ha fatto una sorpresa, dice che no, non esistono più uomini così.
È vero, non ne esitono più e io sono davvero la più fortunata al mondo.
Ci facciamo un giro per Bevagna, due passi tra queste strade acciottolate per avviarci verso la tenuta Arnaldo Caprai, attraversando campi bruciati dal sole dell’estate che sta finendo e fiumiciattoli con i pescatori del fine settimana.
Le vigne della tenuta ci accolgono e ci accompagnano sulla collina dove sorge la cantina.
Come ogni cantina che si rispetti l’ingresso è costituito da un grande cancello in ferro battuto ed una strada perfettamente diritta, in salita, fiancheggiata da file di ulivi.
Attorno alla cantina si estendono filari verdissimi, regolari, impressionanti nella loro perfetta, allineata, immobilità.
La cima della collina, invece, è ricoperta di ulivi, con le foglie grige che sembrano mimetizzarsi sotto il sole cocente di mezzogiorno.
Dopo una breve presentazione della storia della cantina e del Sagrantino DOCG, veniamo portati nelle vere e proprie cantine, dove file di botti stanno a riposare tranquille, nel fresco e nell’oscurità dei piani sotterranei. Risalendo ci vengono fatti assaggiare tre diversi vini: un grechetto freschissimo che ci rinfranca dal caldo, un buon Rosso di Montefalco ed infine il famigerato Sagrantino, forte, corposo, quasi prepotente, dalla personalità decisamente forte per essere bevuto a stomaco vuoto alle 11:30 di mattino.
Tornando dalla visita alla cantina ci fermiamo a fotografare i campi e le vigne che sono tutt’attorno a noi.
Una macchina sbuca da dietro una curva tenendo fuori dal finestrino una bandierina rossa, senza sventolarla ma che si agita con l’aria dell’auto in movimento, parallela a terra.
Mi stupisco nel ritrovare lo stesso identico segnale, con lo stesso identico significato, anche qui, in una campagna tanto distante da casa.
Un tavoletano sa bene cosa aspettarsi, Marco no, non lo sa.
Dietro l’auto sbuca dalla curva un’enorme mietitrebbia, verde, enorme, occupando entrambe le carreggiate.
Una macchina enorme, una macchina d’altri tempi, come quella del mio nonno Arsenio, che per la festa della polenta veniva messa lì davanti alla mura del castello, a far casino e impolverare il paese intero.
Ricordo ancora gli uomini sudati che salivano e scendevano, che manovravano non so quale leva, le cinghie di questo aggeggio così imponente che non si fermavano mai.
Tanto che ancora oggi, cresciuta, mi stupisco di quanto sia immenso, passando a fatica sulla strada.
Decidiamo di pranzare all’Osteria di Piazza Onofri, il portone praticamente di fronte al nostro, delle camere dove soggiorniamo.
Entrando ci accoglie una fresca tranquillità, luci tenui, una grande sala vuota molto accogliente.
Anche qui alle pareti ci sono un’infinità di vini dalle mille etichette differenti, certamente dai mille sapori e profumi diversi. Quadri dai colori caldi, candele accese, nonostante sia ancora giorno, poichè il seminterrato lascia entrare poca luce dalle piccole finestre e aiuta a creare un’atmosfera intima e rilassata.
La cameriera avrà forse la nostra età, è gentilissima e professionale, ci aiuta nella scelta del vino giusto da abbinare ai nostri piatti.
Mezze maniche “Gentile” di Gragnano all’amatriciana con guanciale di cinta senese e pecorino di fossa scelte da Marco, per me, maltagliati al ragù di coniglio e porcini.
Mangiamo con calma, gustando la ricchezza dei sapori, esaltata al meglio dal profumo del vino.
Siamo gli unici nella sala, tutte le etichette sono per noi, i quadri alle pareti, i dipinti sulle tovagliette, le attenzioni e la cortesia della cameriera, e i raggi di luce sottili che entrano dalla finestra.
Non sazio, Marco sceglie anche di prendere un dolce, un flan al cioccolato con cuore caldo e tenero. Uno di quei tortini che alla prima cucchiaiata ne esce una colata lavica di cioccolato fuso.
Ce ne andiamo sorpresi del conto davvero ma davvero onesto, lasciando alla ragazza che ci ha serviti una buona mancia, più che meritata.
Il pomeriggio è dedicato al riposo. Oggi è il nostro anniversario. Si fa quello che ci pare.
Prima di andare a cena ci facciamo un giretto per Bevagna, a visitare le viuzze che ancora non abbiamo esplorate.
La caratteristica di questo borgo è di essere tutto pianeggiante, a parte la zona dove abbiamo le stanze che si trova appena fuori dal corso principale.
La piazza medievale è semplice ed essenziale, di pietra chiara che risplende sotto un sole caldo settembrino. Vi si affacciano la piccola San Silvestro e la splendida San Michele.
San Michele si presenta grande all’esterno con una facciata in pietra bianca ed un rosone.
Al suo interno, in stile romanico, è tanto essenziale da sembrare quasi un antico tempio romano.
Essenziale, quasi spoglio, le colonne altissime senza decorazioni ed il presbiterio rialzato come fosse in cielo, in cima ad una scalinata che pare quasi di roccia grezza.
Tutta questa sorprendente semplicità che esplode di bellezza è adornata per un matrimonio che vi si terrà di qui a breve, da composizioni di rose bianche e rose rosse che riempiono l’aria di un profumo dolcissimo.
Ecco, questa è forse la chiesa più bella che io abbia mai visto. Dove la bellezza è fatta dell’assenza di sfarzo, dove chi vi abita sembra avere più spazio per farsi presente, nell’altezza dei soffitti e nel raccoglimento che offre l’essenzialità del tutto.
Rientriamo a casa per prepararci per la nostra serata, il nostro anniversario, la nostra festa.
Usciamo che il sole sta calando, con le giornate che si stanno accorciando di nuovo, a ricordarci che nonostante temperature rassicuranti l’estate sta davvero volgendo al termine.
C’è un’arietta fresca, che mi fa svolazzare l’orlo del vestito, è piacevole e non insistente.
Arriviamo a Montefalco con i nostri bicchieri da degustazione, e siccome siamo in anticipo andiamo ad assaggiare nuove cantine e nuove etichette, mentre un gruppo di bossa nova sta prendendo posizione al centro del chiostro, nel praticello rialzato.
Dopo un paio di assaggi con i sommellier che ci spiegano e ci incantano con le loro illustrazioni di vini, vitigni, percentuali e invecchiamenti, torniamo verso Spiritodivino, il ristorante dove ci aspetta la nostra cenetta a base di tartufo.
Veniamo accolti da una nuova cameriera, più rotondetta e matura di quella di ieri. E decisamente più simpatica.
Questo ristorante è davvero notevole, dai piatti alla carta dei vini – un librone di dieci chili -, dalla location all’accompagnamento musicale. Il servizio è un po’ insistente ma sappiamo difenderci.
Scegliamo una buona bottiglia di Sagrantino di Montefalco, della tenuta Scacciadiavoli, che ci era piaciuta particolarmente nella degustazione durante l’aperitivo.
L’entrata è sublime e inequiparabile. Uova strapazzate al tartufo nero, ci arrivano fumanti e dall’aspetto invitante.
Il primo boccone è un lasciapassare per il paradiso.
“Sublime”, è l’unico aggettivo che riesco a trovare per descrivere il concerto di sapore, consistenza e profumo che mi esplode sul palato.
Un’entrata simile, dicevo, non può che andare in calando, ma non importa, certe cose bisognerebbe provarle almeno una volta nella vita.
Seguono stringozzi al tartufo e un arrostino di vitello aromatizzato da cipolla caramellata. Gli stringozzi sono praticamente strozzapreti che vengono tirati però più lunghi, mentre la cipolla caramellata, da quello che abbiamo potuto vedere, viene spesso usata per accompagnare i secondi piatti.
La serata procede piacevole e fresca, con un gruppo che riempie di musica la piazzetta, la voce della ragazza ci incanta con rivisitazioni tra il blues e il jazz di pezzi più e meno noti.
Concludiamo la cena con un tiramisù ed un tortino al cioccolato.
Sì, Marco bissa.
Oscar Wild diceva “lasciamo le donne belle agli uomini senza senza fantasia” e io, a questo punto, potre considerarmi una tipa ‘niente male’ se il mio ragazzo sceglie lo stasso dessert a pranzo e cena lo stesso giorno.
Ovviamente questa è pure e semplice ironia.
I nostri splendidi sei anni insieme e la sua fantasia ci hanno portati qui, in questo angolo di paradiso a riempirci di pace, vino e piatti deliziosi.
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