Cu Chi Tunnel e il Grande Tet (ovvero il Capodanno Cinese)

Oggi è l’ultimo giorno dell’anno e questa mattina andiamo a vedere i tunnel di Cu Chi.
Anche oggi ci spostiamo con un gruppo per un’escursione di mezza giornata.
I tunnel di Cu Chi sono dei cunicoli sotterranei dove i Vietcong si rifugiavano per proteggersi dagli attacchi al napalm degli americani. Quando questo popolo, piccolo di statura ma grande nelle imprese, resistette agli attacchi della più grande potenza mondiale di oggi e di allora.

Nel tragitto d’andata, usciti dalla città, il paesaggio scorre mostrandoci quelle che sono le immagini che dopo due giorni abbiamo imparato a conoscere.
Ora sappiamo che nei cerchi colorati appesi al soffitto delle bancarelle sono avvolti copertoni per motorini. Che chi sta al bordo della strada seduto a terra di fianco ad un compressore è un meccanico e che dove ci sono tavoli per mangiare, più appartate, ci sono sempre amache per dormire.
Solo una cosa ancora non mi spiego, come mai esitano negozi chiamati USA Rebel e perchè alcune di queste persone se ne ne vadano in giro con elmetti e divise da militari americani. Probabilmente è come se vedessimo un ebreo coi baffetti alla Hadolf Hitler andare in giro con una svastica cucita sul braccio.

Nei campi di erba verde ingiallita dal sole e frammista alle erbacce, brucano mucche così magre da far compassione tanto quanto mendiacanti storpi. E a questo punto capisci che se questa è la città più ricca del paese, allora il periodo delle vacche grasse – in tutti i sensi dell’accezione – è ancora piuttosto lontano.

Chu Chi tunnelAi tunnel di Cu Chi mi aspettavo un’esperienza suggestiva, una sorta di rituale solenne, o quanto meno raccolto, per la  visita ad un posto così importante per un momento fondamentale della storia di questo paese.
Nel nostro gruppo ci sono quattro russi rumorosi che fotografano ogni cosa e spintonano chiunque si trovi sulla loro strada. Tra gli altri, una ragazza presumibilmente americana con uno dei post-sbornia più colossali a cui abbia mai assistito si addormenta ovunque, arranca nella foresta attaccata alla sua bottiglia d’acqua e conclude la sua visita culturale vomitando contro un albero in mezzo ad una folla noncurante.
L’approccio dei vietnamiti, d’altronde, non aiuta e di certo non ispira raccoglimento. Non è tanto il negozio di souvenir a stupirmi, ma il campo dove i turisti possono andare a sparare, quello mi lascia davvero senza parole.
Così, nei pressi dei tunnel di Cu chi, luogo di resistenza e motivo d’orgoglio di questo paese, russi e americani divertiti impugnano le loro pistole per vedere le sagome sullo sfondo colorarsi di rosso.
Siamo un po’ amareggiati, delusi, ma decidiamo di prendere da questo posto la sua parte più vera, di pensarlo per quello che è stato.

Ho Chi Minh CityPassiamo il pomeriggio a zonzo per la città e ci rendiamo conto di esserle pian piano diventati amici. Attraversare la strada ora è più veloce, basta partire non appena si trova uno spazio libero – difficile, non potete immaginare quanto – e poi procedere senza tornare mai – e dico mai – indietro.
Compriamo il biglietto per l’autobus che domani mattina ci porterà a Mui Ne e poi pranziamo, in un posto da turisti, così da turisti che mi vergogno a farmi vedere lì dalla gente che passeggia per strada. Mentre il locale suona la Macarena a tutto volume ci ripromettiamo di non fare mai più una scelta del genere, piuttosto si mangiano lucertole in strada.

IL GRANDE TET

Dopo essere rientrati in hotel per una doccia e un riposino, inizia il nostro capodanno, il nostro Tet.
Il nostro cenone di capodanno, dopo aver gironzolato un po’ in cerca di un ristorante carino, è in un posto abbastanza di lusso e noi irrompiamo con zainetti e t-shirt di Joe Rivetto.
Le ragazze vietnamite invece sono bellissime, vestite a festa in lunghi abiti di seta.
Ordiniamo un piatto misto della casa che comprende quattro diversi assaggi di tipica cucina vietnamita. Una delizia.
Involtini ripieni di verdure squisite, bocconcini di carne avvolti in foglie di alghe, un “coso” marrone che non saprei dire cosa fosse – da condire con cipolla rossa e cetriolo – ed infine una sorta di nuggets piuttosto strani.
Quando Marco mi invita a riflettere sulla consistenza della carne di questi bocconcini, decidiamo di comune accordo di non pensarci più.
Arrivano i miei noodles ai frutti di mare: squisite tagliatelline di riso con pesce e verdure.
Il risotto di pesce di Marco arriva dopo che io ho già finito i miei noodles e quando la cameriera scusandosi ci porta un piattino e una scodella per uno, mi rendo conto che probabilmente ho mangiato il mio primo dal piatto di portata.
E probabilmente è per questo motivo che i giapponesi nel tavolo di fianco mi hanno scrutata dall’inizio alla fine della mia degustazione.

Lanterne a Ho Chi Minh, notte del Tet

Tet - Capodanno Cinese - a Ho Chi MinhLa città è meravigliosa, tutta agghindata a festa. Nel parco principale ci sono aiuole rigonfie di fiori, tonnellate e tonnellate di fiori ordinati, di ogni colore. Lanterne rosse e bianche pendono ai lati del corso principale a mo di lampione, mentre nelle aiuole accanto, dove c’è una morbida erbetta invitante, fili di lanterne dalla luce colorata scendono fitte e riempiono l’aria di luce, come fossero lucciole danzanti in un campo d’agosto.
E’ uno spettacolo stupendo ed è stupendo vedere come le persone passeggino amichevoli per i viali, comprando giochi ai bambini e sorseggiando bibite fresche.
Ci colpisce la loro semplicità, la gioia nel semplice gesto di farsi scattare una foto vicino a quei fiori. Ecco il loro capodanno, niente eccessi, gli adolescenti sorseggiano acqua e Seven Up, mentre giocano a carte seduti sull’erba, sobri e candidi come bambini.
Decidiamo di sederci anche noi in un’aiuola, sotto le lanterne luccicanti che creano un’atmosfera surreale. Chiunque posi lo sguardo su di noi ci sorride, gli adolescenti ci salutano con il segno della vittoria, indice e medio alzati, il loro modo di fare “ciao ciao”.
Una coppia con una bambina di circa un anno e mezzo continua a ronzarci intorno e a scattare foto, quando dico a Marco di spostarsi, loro un po’ imbarazzati ci fanno capire che è proprio con lui che vorrebbero farsi fotografare. Credo sia per i suoi capelli, in effetti i ricci qui non esistono e lui ne ha davvero in quantità. Ci salutano e ci sorridono per altri cinque minuti e lui ci augura, in un buon inglese, una buona permanenza in Vietnam. Mi colpisce l’orgoglio con cui lo dice, si percepisce un forte patriottismo, l’amore per il proprio paese e la soddisfazione nel vedere che qualcuno, dall’occidente, prenda un volo transoceanico per venirlo a visitare.

Motorini Ho Chi Minh City

A mezzanotte iniziano i fuochi d’artificio, decine e decine, forse centinaia di migliaia di motorini sono fermi in mezzo alla strada principale. Marco dice di non aver mai visto così tanta gente in vita sua, neppure allo stadio. Tutti fermi col naso all’insù sui loro inseparabili motorini.
Mentre rientriamo a casa penso che mi dispiace lasciare Ho Chi Minh, che all’inizo era stata così scontrosa, o forse non l’avevamo saputa capire.
Ripenso ai ragazzini adolescenti che passano il loro capodanno su un prato, sorseggiando Seven Up e giocando pochi spiccioli a carte, penso al sorriso gratuito di chi incrocia il tuo sguardo per strada, al consiglio di un vecchio signore che a gesti mi fa capire di mettere al collo la tracolla della macchina fotografica per non perderla.
Mi chiedo perchè qualcuno dice che il Vietnam si ama e si odia insieme. E penso che questo paese può solo essere amato, se si dimentica il traffico e lo smog delle sue due capitali.
Con questi pensieri torniamo verso l’albergo e mentre tessiamo le lodi di questo meraviglioso Tet c’è un grasso uomo russo seduto al tavolo di un bar con addosso due giovani ragazzine vietnamite, seminude e in atteggiamenti provocanti.
Poco più in là, un gruppo di ragazzi sta seduto in strada, un ragazzo biondo, forse americano, una ragazza dai capelli rossi, inglese o irlandese, e il vietnamita più sudicio che abbia visto da quando sono qui. Stanno lì in mezzo ai rifiuti, davanti a quello che forse è un bordello, e la puzza di alcol che fanno è più forte di quella di pesce essicato che si trova al mercato.
Forse è vero, il Vietnam puoi amarlo ed odiarlo insieme.
Con queste riflessioni rientriamo in hotel per la nostra ultima notte ad Ho Chi Minh, per l’ultima notte dell’anno, tra i fumi degli incensi e dei piccoli fuocherelli accesi davanti alla porta di ogni casa o negozio, mentre un grosso topo grasso – quasi come l’uomo russo seduto al tavolo del bar – ci passa davanti saltellando come un canguro.




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1 Comment

  1. ciao Sara e Pisu, sono qui col ba’ e la ma’ e abbiamo appena letto il diario del vs. viaggio. siete pazzeschi!
    tanti bacini a Pisu dal ba’.

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