Il mio Vietnam: Jungle Beach, la sua spiaggia e i suoi serpenti

Dopo una notte travagliata a causa del cuscino piccolo, duro come un sasso e del freddo – grazie, abbiamo dormito coperti da un asciugamano – mi sveglio con la luce dell’alba e dalla porta vedo il cielo rosa di là delle foglie di bambù. Sono le 6 del mattino e sentiamo il canto, mai udito prima, di un uccello sconosciuto – dire cinguettìo non sarebbe appropriato – e poi un altro rumore, tipo un sìbilo di un serpente che divora un piccolo animale indifeso.

Alba a Jungle Beach

Mi torna in mente che stanotte ho sognato un pitone che girava per le viuzze di questo posto, proprio mentre Marco mi ha svegliata gridando, anche lui in preda ai brutti sogni. Ma va bene così.
Mi alzo e vado in spiaggia, a due passi dal nostro bungalow, e ringrazio tanto di essere qui.
Una spiaggia bianca e fine come borotalco, lunghissima da non vederne la fine, non un’anima viva. Alle mie spalle la montagna, verde e rigogliosa di alberi, con bozzoli di roccia bianca che la punteggiano qua e là.
Questo è l’isediamento umano più selvaggio che io abbia mai visto, e mi piace.
Ci sono piante e fiori tropicali ovunque, colorati e profumati, un orticello e palme di cocco altissime. Le viuzze sono in sabbia e ci sono farfalle grandi come uccellini e colorate come fossero dei dipinti.

CamaleonteSarà solo dopo la colazione – una noodle soup a dir poco deliziosa – che il mio entusiasmo per questo posto così selvaggio sfumerà nel terrore – di nuovo. Sto osservando una sorta di camaleonte – sembra un’iguana in miniatura – che divora un insetto davanti alla nostra veranda, quando un ragazzo tedesco mi dice tutto contento che ha visto ben tre serpenti.
“Excuse me?” “Yes, three different snakes in the jungle”.
Ma porca…
Marco mi assicura che sta parlando del bosco, ha detto jungle, si riferisce alla foresta. Così quando torna con la macchina fotografica gli chiedo “Excuse me, but the snakes…in the jungle – indicando la montagna dietro di noi – or in the Jungle Beach?” “Yeah, in the Jungle Beach!” E la cosa sembra renderlo la persona più felice del mondo.
Ok, al Jungle Beach ci sono i serpenti. Maledetta Lonely Planet, quando torno ti faccio causa per aver raccomandato il Jungle Beach e non aver scritto innanzitutto che per raggiungerlo bisogna organizzarsi in elicottero e come seconda cosa perchè in nessun posto dici che per le vie di questo luogo girano serpenti. Maledetta Lonely Planet.
Passerò tutta la giornata a scrutare gli angoli di questa giungla e a chiedermi come urlerò quando vedrò uscirne un maledetto serpente.

Mentre Marco si riposa sull’amaca che abbiamo davanti al bungalow io faccio una passeggiata in veranda, nello spazio comune dove pranziamo e ceniamo tutti insieme.
Sto canticchiando tra me e me “Welcome to the jungle” quando sento musica soul sparata a tutto volume. In veranda c’è Sylvio che balla come un matto, con la sua camicia hawaiana slacciata sulla panza. Sembra aver venduto l’anima al diavolo come Chris Thomas King, ma lui solo per ascoltarla questa musica.
Dopo trent’anni in vietnam credo si sia ben ambientato – ha creato una famiglia con sua moglie vietnamita, ha creato il Jungle Beach con le sue mani – ma penso che senta ancora la mancanza della musica americana.
Quando finisce la canzone si siede esausto su una poltrona davanti alla tv, dice qualcosa in vietnamita ad un ragazzo che sta lì con lui, e sgancia un peto così sonoro da tranquillizzarmi per aver scacciato via – almeno per un po’ – tutti i serpenti della zona.

Pranzo al Jungle Beach

Il pranzo, qui al Jungle Beach, è un meraviglioso momento di socializzazione: siamo circa una decina di ragazzi e due famiglie con bambini, tutti alla stessa tavola. Un ragazzo che lavora qui è venuto a chiamarci per dirci che era pronto, come se fossimo a casa. E così ci siamo trovati a chiacchierare con tre ragazze francesi, due spagnoli catalani, una coppia svedese ed una ragazza tedesca appena arrivata.
Con mio grande orgoglio posso parlare spagnolo con gli spagnoli e francese con le francesi, mi trovo addirittura a tradurre alcune parole tra le due lingue. Una rinascita dopo una settimana di quasi mutismo a causa del mio pessimo inglese.
Per pranzo un filetto di pesce con un buon sughino rosso e gustoso, un’insalatina di verza, carota e podomori con sopra una salsina rosa, carne – di manzo credo – tagliata a straccetti e condita con cipollotto e altre verdure.
Ognuno ha una piccola scodellina con del riso bianco e le pietanze si prendono dal piatto e si mettono nella propria scodellina. Ogni volta che il bicchiere è a metà la moglie di Sylvio passa a riempirlo di limonata fresca.

Mi sembra di essere tornata ai tempi del Tridente ad Urbino, quando ogni momento è buono per imparare qualcosa di un’altra lingua o di un’altra cultura. Quando una chiacchierata ti lascia arricchito della consapevolezza che tutto il mondo è paese e i pregiudizi sulle altre persone sono pressochè banalità. Italiani cafoni, francesi antipatici, spagnoli caciaroni, tedeschi e svedesi troppo impostati, tutti invece siamo uguali, con la nostra voglia di viaggiare e di conoscere il mondo – ma sì forse i tedeschi e gli svedesi sono really troppo impostati.

Passiamo il pomeriggio in spiaggia, su questa meravigliosa spiaggia selvaggia.
La cena si svolge tale quale al pranzo, tutti seduti allo stesso tavolo con la propria scodellina di riso bianco. Seppia e peperoni, uno spezzatino un po’ piccante davvero delizioso, erbe “di campo” e cetrioli con zatziki. Una cena deliziosa, se non fosse che Sylvio, che è seduto accanto a me, stia raccontando ai ragazzi tedeschi che qui per il Jungle Beach c’è una razza di serpente di colore giallo grosso così, davvero bello, si alza come un cobra e ha le squame colorate dietro la testa e infatti i vietnamiti lo chiamano cobra dai sette colori.
Sylvio Sylvio, perchè non mi lasci vivere in pace Sylvio? Statte zitto e prega che io non lo incontri questo cobra dai sette colori, perchè sarei capace di raderti al suolo il campeggio con un urlo.

Falò a Jungle BeachDopo cena io e Marco passiamo un po’ di tempo al netbook per prenotare l’hotel ad Hoi An, la città per cui partiremo domani viaggiando di notte – indovinate un po’? con uno sleepping bus.
Siamo un po’ stanchi e stiamo andando a dormire, salutiamo tutti ma Matias ci dice che c’è un falò in spiaggia, se vogliamo andare. Così passiamo in spiaggia e ci sediamo chiacchierando del più e del meno con Matias, il nostro nuovo amico tedesco che vive vicino a Francoforte. I lupacchiotti che vivono qui sono esausti e dopo aver scorazzato per la spiaggia tutto il giorno, si addormentano accoccolati alle nostre gambe.
Penso al fatto che avevo definito questo posto come il più selvaggio mai visto prima, ma poi mi accorgo che – per un altro verso – la civiltà intesa come civilizzazione e rispetto dell’altro sono all’ennesima potenza. Proprio come quando ho trovato tre sorelle e tanti amici in un vecchio collegio degli anni Settanta, e neanche allora avevo il bagno in camera.




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