Il mio Vietnam: in viaggio verso Huè, antica la capitale imperiale

E così arriva il momento di salutare Hoi An, la nostra prediletta del Vietnam, per dirigerci verso l’antica capitale imperiale Hué.
Ci facciamo trovare pronti per le sette e trenta, orario che abbiamo scelto per partire ed arrivare in giornata alla nostra prossima tappa, dopo quattro ore di sitting bus.
Ovviamente, secondo quelli che sono gli standard vietnamiti, il bus arriva verso le otto e un quarto ed io faccio in tempo a portare un foglio con scritti i nostri apprezzamenti al ristorante vicino all’hotel, dove abbiamo consumato quasi tutti i nostri pasti qui ad Hoi An.
Visto che la parete nel giardino sulla strada è piena di scritte e messaggi carini, ci tengo che ci sia scritta anche la nostra di opinione.
Faccio in tempo anche a dimenticare il mio marsupio – con cellulare, fotocamera e PASSAPORTO – al tavolo della colazione, che mi verrà restituito – grazie a Dio – in camera, mentre stiamo prendendo i bagagli per scendere puntuali nella hall dell’albergo.

Caricando i bagagli sull’autobus saluto la receptionist, una dolcissima ragazza che ha avuto sempre meravigliosi sorrisi per noi. Ci tengo a dirle che il nostro soggiorno qui è stato meraviglioso e lei mi viene incontro prendendo la mia mano destra tra le sue mani. Non a conchiglia, come farebbe un occidentale, ma con le dita unite ed allungate, lo stesso gesto che fanno per ringraziare, salutare o pregare, ma con la mia mano tra le sue.
Un gesto pieno di rispetto e di dolcezza , e ancora una volta un sorriso e uno sguardo sono significanti più ricchi di mille parole.
E’ questo il gesto che voglio ricordare, l’arrivederci che questa città meravigliosa ha voluto offrirmi.

Siamo i primi a salire sull’autobus e dopo solo duecento metri un ragazzo dell’hotel in scooter ci sta inseguendo perchè ho dimenticato gli occhiali sulla poltrona alla reception.
Eccoti qua Sara, chissà dov’eri finita?
Non sono certo io quella che fa una valigia perfetta senza dimenticarsi nulla, che fa shopping a prezzi convenienti contrattando con abili commercianti e gestisce itinerari complicati attraverso un paese sconosciuto e tanto differente dal suo habitat naturale!
Bentornata Sara sbadata ed imbranata, sono felice che tu sia ancora viva e vegeta, ma forse è meglio che torni a dormire ancora un po’, almeno finchè non saremo tornati di nuovo in Italia, dove perdere la carta di credito e il passaporto magari sarebbe meno problematico – anche se comunque stupido.

Il pullman è vecchio e lurido, tutto scassato. La statistica vuole che nel nostro viaggio incontriamo, alternati, un autobus ottimo ed uno decisamente pessimo. Decidiamo che questa alternanza ci sta bene, visto che questo viaggio sarà breve e invece il prossimo durerà tutta la notte e più di dieci ore – incorciamo le dita quindi ed invochiamo tutta la potenza della dea Statistica.
Dobbiamo fare tutto il giro degli hotel di Hoi An a raccogliere i vari passeggeri di questo viaggio, così, partiti alle otto e un quarto invece che alle sette e trenta, lasciamo la cittadina verso un quarto alle nove.

Il viaggio sarà meraviglioso, lungo la strada che viene chiamata “Il sentiero di Ho Chi Minh”, un percorso amato dai motociclisti che rispecchia un po’ il nostro passo di Bocca Trabaria, con una serie infinita di tornanti e paesaggi naurali tanto belli da togliere il fiato.

Dopo solo un’ora ci fermiamo per una pausa. Tutti sbuffano perchè non vedono l’ora di arrivare ed una sosta di mezz’ora dopo i primi sessanta minuti di viaggio sono considerati inutili un po’ da tutti.
Siamo seduti sui posti davanti: dopo l’anglofono che puzzava di sudore nel sedile in fondo del bus per Nha Trang, abbiamo entrambi la sensazione che quando un mezzo è sporco, più ti spingi verso il retro e più la puzza e la sporcizia aumentano.
Nonostante il tachimetro del mezzo sia morto – presumibilmente da decenni – non è difficile intuire che la nostra velocità di crociera si aggira attorno ai trenta, massimo quaranta, chilometri orari.
Attraversiamo diverse regioni, diversi paesaggi e sfondi variegati. Prima il mare bellissimo di Danang, calmo e piatto come un lago quieto, con le sue barchette immobili sgombre di turisti ed intente solo alla loro pesca quotidiana.
Poi iniziamo a salire, sulle montagne di marmo dove i ripidi pendii sono ricoperti di pini ed eucalipti.
E poi di nuovo a scendere, su vaste pianure pezzate di risaie come una coperta patchwork di cotone verde. Qualche punto qua e là: il bianco candido del piumaggio degli aironi e i cappelli conici indossati dalle contadine, per ripararsi dal sole e dalla pioggia, dal vento e dal caldo.

Il nostro percorso taglia un piccolo paese di provincia, con la sua strada impolverata, i punti di ristoro e i meccanici che riparano camere d’aria bucate. Un bambino piccolissimo, se ne torna a casa da scuola con la sua cartella sulle spalle, così grande da farlo sembrare un minuscolo pallino con caschetto ed occhi a mandorla, incede impettito con aria sicura avvolto da una nuvola di polvere.

Dopo quasi quattro ore vediamo un cartello con scritto “Hué 58 Km” e proprio secondo le nostre supposizioni arriveremo dopo un’ora. Alla discesa dall’autobus veniamo letteralmente assaliti da persone che ci chiedono se vogliamo cheap rooms, motorbike, bicycle o qualsiasi altra cosa venga loro in mente. Recuperiamo i bagagli e cerchiamo l’hotel che troviamo dopo un po’ di peregrinare per le strade polverose di Hué.

Cittadella Imperiale - Hué

Nel pomeriggio visiteremo la Cittadella, la vecchia residenza imperiale di cui rimangono alcune parti mediocremente conservate e di altre solo rovine.
Le mura della città vecchia sono molto imponenti, alte e tenebrose; il fosso d’acqua e fiori di loto ne percorre il perimetro e dona a tutto l’ambiente circostante un chè di misterioso e suggestivo, mentre i giardini pieni di fiori, i viali alberati e i prati verdeggianti hanno un piacevole effetto rilassante.

Cyclo ad Hué

Per raggiungere la Cittadella prenderemo il nostro primo Cyclo, quelli che in India vengono chiamati Tuc Tuc ma qui non hanno il tettuccio e sono scoperti. Quel pazzo del ciclista ci farà provare l’ebbrezza di trovarsi in mezzo al traffico vietnamita proprio come ci si trovano loro, ovvero lanciandosi senza il minimo riservo nel mezzo delle strade senza battere ciglio.
Tiriamo dritto ad un semaforo giallo e l’acellerazione di questo settantenne che sta pedalando per trasportare circa centoventi chili in più del suo peso, ci dona una scarica di adrenalina, stimolata non dalla velocità ma dalle decine e decine di motorini che, allo scattare del verde, ci si lanciano contro come uno sciame d’api sul miele.

Marco è stanco e annoiato, questo tipo di architettura non lo entusiasma particolarmente. Continuiamo a gironzolare dentro la città imperiale, una sorta di cittadella dentro la cittadella. Se non fosse per il viaggio in pullman sarebbe una bella passeggiata rilassante ma la stanchezza inizia a farsi sentire.
Passiamo al bancomat per ritirare i soldi con la mia carta di credito ma non riusciamo a prelvare.
Quella di Marco è inutilizzabile visto che si è portato dietro il PIN sbagliato – avrei voluto farvi vedere la sua faccia quando mi ha detto candidamente “Il mio PIN è uguale identico alle ultime quattro cifre del numero di carta”. Che dolce.
Come saprete nel foglietto che la banca ti spedisce ci sono stampate sia le ultime quattro cifre del numero della carta – per riconoscere appunto di quale tessera si tratta – ed il PIN.
Per più di una settimana abbiamo utilizzato gli euro cambiati in dong al nostro arrivo ad Ho Chi Minh, poi ad Hoi An io ho fatto due prelievi – ovviamente già spesi tutti in shopping prima di ripartire da lì – ed ora, non posso più prelevare.
Dunque siamo ad Hué senza soldi. Molto bene.
Abbiamo solo duecentomila dong – che comunque bastano ed avanzano per un pasto in Vietnam – e decidiamo di cenare al risparmio presso un baracchino sul lungofiume. Prendiamo degli spiedini senza avere la più pallida idea di quali siano gli ingredienti, proprio come la prima sera quando abbiamo cenato ad Ho Chi Minh.
Mentre consumiamo il nostro pasto economico seduti su una panchina nel mezzo di un prato, un curioso vietnamita in bicicletta si ferma a chiacchierare con noi. Quando gli diciamo che siamo italiani lui ci dice che è un poeta e che Umberto Eco una volta gli ha scritto una mail per complimentarsi delle sue poesie, poi ci dice anche il più importante architetto vietnamita – che tra le altre cose ha disegnato proprio la scuola che sta alle nostre spalle – è diventato così bravo ed importante perchè ha studiato in Italia, a Roma.
Chiacchieriamo un po’, è una persona bizzarra ma molto colta. Gli chiediamo consigli sui templi e le pagode fuori dalla città e lui ci spiega un sacco di cose.
Nel salutarci ci lascia un foglio con una sua poesia in vietnamita e traduzione inglese a fianco e con tutti i suoi contatti.

Poi rientriamo in hotel e sotto la finestra della stanza c’è il fiume che scorre e riflette la luce colorata delle insegne al neon. Niente lanterne qui, e la nostalgia di Hoi An inizia già ad annunciare la futura nostalgia del Vietnam.




« « Il mio Vietnam: lampioni di carta multicolori. Hoi An città delle lanterne. | Il mio Vietnam: un incubo di viaggio prima del ritorno » »

2 Comments

  1. Ciao Sara, partirò per il Vietnam il prossimo 8 aprile… i tuoi racconti sono fantastici!

    • GRazie Veronica, sono felice che ti siano piaciuti, spero di averti anticipato un poco di questa terra meravigliosa.
      Anche in caso affermativo vedrai, sarà ancora più straordinaria di quello che ti aspetti!
      Dove andrai, quali tappe farai, quanto durerà il tuo viaggio?
      Dai raccontami, fammi un po’ sognare! Il Vietnam mi manca da morire!

Leave a Reply