Verso la Corsica. Riccione – Livorno
Eccoci qua, di nuovo in partenza, di nuovo in viaggio.
Raggiungere Livorno da Riccione è un vero e proprio coast to coast attraverso l’Italia appenninica e
attraverso scenari già visti, appartenenti alla mia infanzia. Valichi conosciuti, percorsi a piedi nei campeggi giovanili, accompagnati da un buon parroco e ottimo amico. La Verna, Passo Viamaggio, San Sepolcro, i tornanti infiniti e le fontane di acqua sorgiva. Tutto questo, seppur lontano centinaia di chilometri da casa, fa parte della mia infanzia.
Domani mattina ci imbarcheremo a Livorno per la Corsica, questa terra da tanti lodata, da me personalmente sconosciuta. Mi è stato comunicato di partire solo una settimana fa, per questo non ho potuto informarmi (ancora) come si deve. Ma la Lonely è nella borsa e durante la traversata in traghetto avrò tempo di leggermela tutta (o quasi).
A proposito di traghetti, chi mi conosce sa della mia stupidissima fobia. Ebbene sì, ho il terrore delle crociere e di tutte quelle imbarcazioni che oltrepassino le dimensioni ragionevoli di un mezzo di trasporto marittimo. Di solito quando svelo questa mia pecca tutti ci tengono a ricordarmi che “le navi più grandi sono quelle più sicure mentre invece quelle piccoline hanno più possibilità di naufragare”. Il fatto è che io non ho paura che la nave affondi, semplicemente mi fanno “senso” tutte le navi – e simili – di una certa dimensione. Per non parlare dei porti e di tutte quelle costruzioni immense che li popolano. Dio mio, solo al pensiero rabbrividisco. Se poi penso che domani dovremo salire con l’auto sul traghetto, mi viene in mente Pinocchio quando finisce nella bocca della balena. Ossignùr. Meglio non pensarci adesso.
In Toscana sembra che i distributori di Metano non abbiano particolari necessità di lavorare e soprattutto che non abbiano nessuna voglia di farlo nei giorni festivi. Scopriamo che l’unico aperto di domenica fino alle 20:30 è a Scandicci, iniziamo così una corsa contro il tempo che poi una vera e propria corsa non è, data la tortuosità della strada e la coda di traffico creatasi.
Mentre Marco si riposa lato passeggero ed io gli do il cambio alla guida, mi godo questo paesaggio, queste cime di monti che si ripetono ad oltranza, ricoperte di foreste verdi e da un velo di foschia fatto di umidità. A lato della strada, cespugli di ginestre e soffioni grossi come coni di gelato a un solo gusto, mi ricordano la “mia” vegetazione, ma con una disposizione ed un’attitudine diversa che, non saprei dire per quale motivo, mi ricordano che non sono a casa.
Quando a causa del traffico ci rendiamo conto di non riuscire ad arrivare in tempo per fare il pieno di metano decidiamo di prendercela comoda. Riflettendo sull’idea di dormire comodamente in macchina prima di imbarcarci alle 6:30 di domani mattina, decidiamo che forse è meglio prenotare una cameretta decente e farsi una doccia calda prima di andare a dormire in un letto dignitoso. Così sullo smart phone inizio a cercare un bed and breakfast vicino al porto di Livorno.
Al primo tentativo la risposta è negativa, ma alla seconda chiamata una signora dal tipico accento Toscano ci dice che ha un bell’appartamentino carino, pulito, con letto matrimoniale, bagno privato ed acqua calda. Aggiudicato.
Ovviamente non bisogna mai fidarsi di quello che ti dicono al telefono per venderti una camera.
Dopo una decina di chilometri ventina di minuti nel traffico di Firenze ci immettiamo sulla superstrada Fi-Pi-Li (Firenze Pisa Livorno), altrimenti detta SGC. Arriviamo in zona Livorno e anche se a causa del buio non riesco a scorgere i dettagli, le luci da centrale elettrica stile Hera in notturna, cisterne grandi come case e lunghi bracci di vecchie gru arrugginite mi lasciano intuire che siamo in zona porto. Mi irrigidisco e cerco di non pensare all’indomani.
Attraversiamo un ponte fiancheggiato dall’acqua, mi torna alla mente quel viaggio infernale alla ricerca di Jungle Beach, e anche se ne alludo soltanto non nominando direttamente il luogo e il giorno, Marco mi conferma che anche lui ha ripensato a quella notte. La più terrificante della mia vita.
Il campeggio Playa Felice di Marittima è al primo impatto piacevole. Ci accordiamo che se la camera fa schifo io faccio un cenno con la spalla e Marco dice alla proprietaria che ce ne andiamo da un’altra parte. Io sono una codarda e non ce la farei a dirlo neppure se fosse una topaia. Appena la signora ci mostra l’appartamentino, l’odore di pulito basta a rassicurarmi. Per 50 € alla fine basta avere un letto con lenzuola pulite, un bagno decente e l’acqua calda per farsi una doccia. Appunto l’acqua calda. Al telefono mi era stata venduta anche quella, ma diciamo che la doccia ha iniziato ad intiepidirsi solo dopo una mezz’oretta dopo la mia doccia completa e volgendo al termine quella di Marco.
Vabè, non siamo clienti esigenti.
Sono solo le 22 e la “sala giochi” del campeggio offre il meglio dei videogiochi NeoGeo anni ’90: Bubble Bubble (un tempo nostra croce nonché causa di seria assuefazione), Metal Slug e Point Blank (comunemente chiamato “gioco delle pistole”). Lanciamo prima di appoggiare le valige un mini torneo alla meglio delle tre ma quando usciamo i videogiochi sono già spenti e il bar che doveva fornirci birra da torneo sta già sbaraccando. Inconvenienti “da bassa stagione”. Torniamo così nel nostro appartamentino accompagnati da rospi di varie dimensioni che saltano sotto la veranda davanti all’ingresso.
A guardarlo bene, una volta passato il sollievo dell’essere arrivati a destinazione e dell’essere finito un viaggio in auto abbastanza stancante della durata di 4 ore e più, ci accorgiamo di quando faccia schifo l’appartamento. Nell’ingresso c’è un divano rubato al museo storico della prima guerra mondiale, coperto probabilmente da quella che un tempo era un vecchia tenda, declinata a ruolo meno nobile, probabilmente più alla sua portata.
Il cucinotto in fondo in fondo è pulito, anche se le sedie sono più scomode di una tavola di legno. Il pezzo forte sono comunque le mattonelle. Probabilmente anche la nonna più anziana e meno esigente si rifiuterebbe di avere in casa delle mattonelle simili, considerandole troppo datate.
Prendete il pavimento di casa dei vostri nonni, quelle mattonelle marroncine dall’aria vetusta…ok, aggiungetegli altri dieci vent’anni e avrete una vaga idea del pavimento dell’appartamentino della Playa Felice. Per non parlare di quello della camera. In questa stanza sembra di camminare su una coperta in stile pachwork. Probabilmente qualche mattonella, nell’arco dei cento anni della pavimentazione, è saltata ed è stata rimpiazzata con altre di tutt’altra natura, tutt’altro stile e tutt’altra fantasia. Dunque all’indefinibile motivo marroncino che percorre le altre stanze si alternano disegni dai fiori barocchi e, vicino all’armadio, persino due quadrati raffiguranti una pera – sì una pera – ed una caffettiera in stile “disegno di bambino”.
Decidiamo che è meglio andare a dormire và, che domani ci aspetta la traversata, e io salirò per la prima volta su uno di quegli infernali traghetti immensi che mi hanno sempre terrorizzata.
Inutile dire che la notte sarà tormentata e il sonno agitato. Sono Pinocchio che viene ingoiato dalle fauci della balena – perché nel Pinocchio della Disney che ha segnato l’infanzia della mia generazione, ebbene sì, la balena ha delle fauci spaventose – e lo stesso vale per il traghetto della Moby dei miei incubi.
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- Lisbona. Il viaggio, l’arrivo, le presentazioni | Il Blog di Sara Paolucci: viaggi, ricette, letture e sciapità - [...] ci piace anche così. D’altronde dopo il nostro viaggio in Vietnam e dopo una notte al Playa Feliz di…
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Ebbene sì, era un pesce-cane. I tuoi incubi sono attendibili. Spero ti faccia piacere saperlo.