Corsica: lo sbarco, Cap Corse e Ghisonaccia

Come immaginavo la notte è trascorsa a lottare con la balena di Pinocchio, così alle 5:15 di mattino, quando suona la sveglia, sono tutt’altro che riposata.
Raccogliamo le nostre cose in silenzio e partiamo alla volta del distributore di metano che grazie al cielo apre alle 6 di mattino e ci consente di rifornirci prima dell’imbarco alle 6:30.

Arriviamo al porto e la cosa più “schifosa” – eh sì, la mia fobia mi dà…schifo! – sono tutti quei mercantili arrugginiti, lunghissimi, con le alte gru che fanno sembrare il tutto una sorta di sala operatoria per grosse navi.
Ci sono negozi, agenzie di viaggio, bar, perfino una chiesa, come se questa fosse una vera e propria cittadella. Inutile dire che non abiterei in un posto simile neppure se fosse l’ultimo angolo del pianeta con aria respirabile o libero da un’invasione di cavallette.

Arrivati davanti al nostro traghetto Moby stranamente non provo nessun brivido e niente terrore. In effetti un traghetto è molto più piccolo di una nave da crociera, a questo non ci avevo pensato. Dunque tutte queste paranoie per nulla.
Meglio così.

Dopo un bel po’ di fila saliamo, parcheggiamo, ritiriamo immediatamente le chiavi della nostra cabina e ci mettiamo a dormire. La cabina non è matrimoniale ma a nessuno dei due viene in mente di farsi cambiare la stanza. Ci mettiamo subito in un lettino a dormire, ancora stravolti dall’alzataccia e dalla notte poco riposante.
Dalle verso le 8 ci alziamo e ce ne andiamo sul solarium, il sole è alto e picchia parecchio. In molti sonnecchiano, qualcuno legge. Marco ascolta l’iPod e legge Oceano Mare, io mi studio, come promesso, la Lonely della Corsica. Il viaggio in traghetto non solo non è deletereo ma è addirittura entusiasmante. Il mare tutto attorno ha un chè di rilassante e il sole caldo del primo mattino è davvero piacevole.
Penso all’itinerario da fare appena sbarcati, visto che abbiamo l’appartamento a metà isola e per il pernottamento dovremo spostarci verso sud, direi che l’ideale sarebbe visitare la parte nord prima di spostarci verso l’appartamento a Ghisonaccia.
Siamo d’accordo.

Partiamo per visitare Cap Corse, mangiando un panino senza neppure fermarci. Inizia così la nostra risalita, sia in altitudine che in latitudine, del dito indice della Corsica – perché? Ditemi che l’isola non sembra una mano che indica la Liguria?
Scopro così che quest’isola è proprio come l’ho sempre immaginata: casette di mattoncini ammucchiate sulle alture e palme altissime come sentinelle a guardare l’orizzonte. Solo una cosa non è come la immaginavo: il mare. Un’acqua blu, così blu, che solo in foto avevo visto colori così intensi, avendo la sensazione fossero ritoccati e non reali. E invece dalla strada che lo sovrasta si riesce a scorgere addirittura il fondale, roccioso, maculato di un blu più intenso ed un azzurro più chiaro, mentre il cielo è invece accecato da un sole alto e bollente che rende il quadretto una foto appena appena imperfetta perché come sovraesposta.

Cap Corse

Il caldo ci accompagna durante il viaggio, mentre saliamo lungo i tornanti che attraversano con regolarità i vari paeselli che si arroccano su queste rocce. Da una parte il mare, dall’altra parte le montagne, ricoperte di un verde che sa di primavera e di vita. Pini marittimi, ginepri, ginestre, oleandri. Una vegetazione fitta e rigogliosa che ben si sposa con l’intenso blu oltremare che le riempie lo sfondo.
Erbalunga, Porticciolo, Macinaggio, sono i piccoli mucchietti di case che si incontrano lungo la strada tortuosa che costeggia tutto il capo. Ogni tanto compare in basso una lunga spiaggia: due, massimo tre bagnanti, muniti di ombrellone, sonnecchiano sotto il sole come piccoli puntini colorati. Le torri genovesi – alcune intatte, altre dissestate – controllano dall’alto che niente e nessuno disturbi quello che sembra l’unico, possibile ed immutabile volgere delle cose in questi luoghi. La quiete, il verde, il sole che luccica riflesso sul mare. Tutto è come sembra, reale e presente con tutta la sua bellezza. E pare non potrebbe essere altrimenti.

Arrivati a Macinaggio ci dirigiamo verso l’interno per tagliare la penisola, la larghezza è di circa dieci chilometri, ma la tortuosità delle strade rende il percorso piuttosto lungo in termini di tempo. Passando all’interno il mare scompare e ci si trova improvvisamente circondati dalle montagne, sovrastati da cinque pale eoliche di cui tre hanno però deciso di scioperare, e oziano al sole mentre le altre due si affannano al posto loro. Intanto Mulin Mattei, un piccolo mulino a vento giocoso e ridente, se ne sta tutto solo su una collinetta a girare le sue palette divertito, mentre gli altri, grandi e composti, hanno l’aria annoiata e un po snob.

Porto Centuri

Il Mar Ligure ricompare dall’altro lato, sulla costa occidentale di Cap Corse. Scendiamo giù al livello del mare per visitare Centuri, un piccolo villaggio che si raccoglie attorno a un porticciolo, dove sembrano esistere solo ristorantini graziosi e negozi di souvenir. Il paesaggio ricorda vagamente Vernazza: uno spiazzo che dirada nell’acqua del porto con una barchetta a secco che giace capovolta, come un pesce stramazzato sotto il sole per mancanza dell’acqua.
Il caldo ci soffoca e ci toglie il respiro, risaliamo presto in macchina perché il viaggio è ancora lungo. Nonostante ci resti solo metà “dito”, la strada che percorre la costa occidentale è talmente tanto tortuosa che i tempi sono molto più lunghi rispetto all’altra parte.
Per arrivare a Nonza il viaggio è lungo e la stanchezza si fa sentire, così dopo più di mezz’ora di tornanti, arrivati in questo piccolo villaggio, ristoro per turisti e motociclisti che siedono all’ombra di fresche verande, decidiamo anche noi di fermarci qualche minuto, mangiare qualcosa, bere un po’ e decidere la strada da fare per raggiungere Ghisonaccia.

Cap Corse

Sul mare, tra due punte di scogli appuntiti, si snoda una piccola spiaggia di sabbia nera, che sembra quasi arrostita dal sole cocente. Nel mezzo, delle barchette capovolte la colorano come piccole macchie di colori a olio su una tavolozza scura.
Terminata la ridiscesa di Cap Corse, ci rendiamo conto che non abbiamo tempo per vedere l’Île Rousse, e neppure per passare a Corte. Partiamo quindi alla volta di Ghisonaccia, mi metto alla guida, percorro l’ultimo tratto del Cap e imbocco la superstrada trafficata che attraversa l’isola costeggiando il mare e arriva al nostro appartamento.

Arriviamo al complesso residenziale Marina Corsa quasi alle 19, considerato che siamo svegli dalle 5:15 direi che siamo piuttosto stravolti. Ritiriamo le chiavi dell’appartamento e andiamo subito a vedere il mare. Gli appartamentini che si snodano sul sentiero come una catena di villette a schiera sono tutti molto graziosi, con i bei giardini curati e i costumi da bagno stesi che danno un tocco di colore. Un vialetto passa in mezzo ad un canneto, porta su un ponticello in legno e arriva ad una bella spiaggia lunga e poco trafficata. Una coppia di giovani sposi con una bimba di pochi mesi, una signora di mezza età che legge tranquilla sul suo sdraio ed una famiglia il cui bambino, forse sui sette, otto anni, cerca con un metal detector chissà quale tesoro nascosto sotto la sabbia.
L’acqua è limpida e trasparente seppure sia mossa e le onde si riversino schiumose sulla battìgia.

Ghisonaccia

Rientriamo nel nostro appartamento, dalla cui finestra si vede e si ascolta il mare. La pace regna sovrana, il vociare di una famiglia italiana si mescola al fragore delle onde che si alzano col calare del sole.

Eccoci ancora una volta a fare casa un luogo che in fondo non lo è. Il sentirsi straniero in una terra che a poco diventerà familiare. La sensazione, all’arrivo, arrivo è sempre questa: l’imbarazzo dell’impatto, che quasi sempre lascia posto alla malinconia, al momento della dipartita.




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